giovedì 23 gennaio 2014

Prime volte a Londra 2, ovvero come ti trasformo un bambino in ragù

25 Settembre 2013

- Il primo viaggio in Tube
Una volta trasferitami a Londra, credevo che mi sarei lasciata alle spalle l'incubo dei ponti e dei vaporetti veneziani. Perché, diciamo la verità, essere neo-madre a Venezia è stressante. Soprattutto se, come me, sei una madre che pesa 40 kg vestita che si ritrova ad arrancare sui gradini con una carrozzina di 200 kg contenente un bambino gigante. Una zanzara che trascina un camion, in pratica. Allora, per evitare i ponti, scegli il mezzo pubblico, e va pure peggio. A me era venuta la 'vaporettofobia'.
Sempre pieno zeppo, incastri la carrozzina tra l'ascella di una turista sudato ed un carretto della spesa; tu stai tutta storta per fare da scudo al pupo e alla fine del viaggio ti ritrovi con la scoliosi che si aggrava; le vecchine, tutte truccate e pronte per l'ora dell'aperitivo, ti prendono a gomitate senza pietà e ti fregano i posti riservati; il marinaio rimane incastrato nella cabina di guida e per attraccare lancia a caso la corda in modalità rodeo. Quando riesce a centrare l'attracco scatta l'applauso come per i piloti in aereo. E, naturalmente, la gente ti odia, perché pesti i piedi a tutti e sei ingombrante e a nulla vale profondersi in scuse. Perché, apparentemente, a Venezia NESSUNO è stato bambino.
Quindi, non è sufficiente dire che desideravo venire a Londra il più presto possibile: io AGOGNAVO Londra e il suo sistema di trasporto pubblico, la TUBE.
Immaginatemi, dunque, mentre procedo tutta baldanzosa verso la stazione della Metro con l'espressione di completa beatitudine stampata in faccia. Ora immaginate la mia faccia quando, all'ingresso, mi imbatto nella prima, infinita, rampa di scale. Ok, niente panico, non mi scoraggio certo alla prima difficoltà. C'è il cartello che indica la direzione per l'ascensore.
Faccio un chilometro per raggiungerlo, lo prendo, mi torna l'espressione beata. Le porte si aprono e mi ritrovo davanti un'altra rampa di scale. Ma allora ditelo.
Va bene, va bene, c'è il nonno che mi aiuta. Riusciamo a salire in metro. Affollatissima.
Non importa, basterà imparare gli orari più adatti per muoversi. Non cedo allo scoraggiamento, anche se il sorriso in faccia ora risulta un po' forzato.
Non vedo l'ora di arrivare perché Bambino suda dato che sul treno c'è una temperatura media di 40 gradi mentre lui è vestito da Polo Nord visto che fuori fa -30.
Scendiamo, è quasi finita, ma c'è l'ultimo ostacolo: la SCALA MOBILE.
In realtà la scala mobile è piuttosto comoda una volta capito come farla. Solo che, appunto, serve un giro di prova.
L'imbocchiamo. Il nonno guida premurosamente il passeggino mentre io mi offro solerte di sollevare un po' le ruote davanti.
"Tranquilla, ce l'ho", fa lui tutto flemmatico. Lascio andare il passeggino. Non l'avessi mai fatto.
Quando raggiungo terra, mi giro e la scena che mi si para davanti non è delle migliori. Il nonno ha preso di punta la fine delle scale mobili e non riesce a disincastrarsi, la gente dietro si ammassa, alcuni gli cadono addosso, mentre altri si buttano a destra e a sinistra urlando "abbandonare la nave!" per evitare il disastro. Il passeggino assume pericolosamente un'angolazione di 180 gradi e Bambino rischia di finire nella fessura e diventare ragù.
Nessuno impreca, ovviamente: vanno tutti educatamente incontro al loro destino.
Al che, anch'io mi adeguo e rivolgo al genitore sconsiderato un "ma papi..." degno del migliore aplomb inglese.
Siamo tutti molto flemmatici in famiglia. Ci troveremo bene.


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